A circa 7 km dal centro abitato di Montalbano Elicona (eletto borgo più bello d’Italia nel 2015), si trova uno dei luoghi probabilmente più misteriosi e suggestivi di tutta la Sicilia, ovvero l’altipiano dell’Argimusco. Siamo a 1.200 metri di altitudine, tra i monti Peloritani ed i monti Nebrodi, alle porte del bosco di Malabotta, di fronte all’Etna ed alle isole Eolie. Già questo da solo basterebbe a rendere questo luogo molto interessante, se non altro per godere della vista panoramica magnifica che da qui spazia a 360°. Ma questo altipiano nasconde un mistero piuttosto fitto, che nessuno sembra essere riuscito a chiarire in modo più dettagliato, e che ovviamente suscita la curiosità sia di esperti sia di semplici visitatori. Infatti su questa vasta area, completamente circondata da verdi e rigogliose felci e quasi totalmente priva di alberi, svettano delle rocce dalle particolari forme antropomorfe e zoomorfe la cui origine è totalmente avvolta dal mistero.
Alcuni sostengono che si tratti di rocce naturali che, con il passare del tempo e grazie all’azione erosiva del vento, abbiano assunto queste particolari forme. Altri invece sostengono che siano state costruite dall’uomo, in epoca preistorica, con particolari significati, ed utilizzate per riti propiziatori. Grazie alla loro particolare forma ed alle probabili origini, molti li hanno ribattezzati “la Stonehenge di Italia“.
Purtroppo la verità al momento non la si conosce e sui megaliti dell’Argimusco attualmente si possono solo fare ipotesi. Quello che è certo è che questo immenso complesso, così vasto e così concentrato, ti dà la sensazione di trovarti in un luogo a se stante, completamente lontano da tutto, come appartenente ad un mondo alieno.
I più famosi megaliti dell’Argimusco
All’inizio del sentiero principale che porta alla scoperta dei megaliti dell’Argimusco, si trova una mappa dove sono ben indicati i menhir più significativi, quelli le cui forme sono state oggetto di attenzione e che sono più facilmente riconoscibili. Ve ne elenco alcuni:
- menhir della virilità: si tratta di due menhir che raffigurano le forme genitali maschili e femminili, poste una di fronte all’altra, e che simboleggiano la fertilità;
- l’aquila: è uno dei megaliti più famosi e fotografati. La sua forma è abbastanza netta e riconoscibile ed il becco punta in direzione dell’Etna;
- il guerriero o il sacerdote: altra roccia dalla forma ben definita. Se lo si guarda attentamente si nota un profilo umano, con un foro che rappresenta l’occhio, e delle escrescenze che rappresentano le orecchie;
- il mammut;
- la donna orante: è una delle figure più suggestive, nonché una di quelle che più di altre ci fa pensare che sia stata creata dall’uomo. Si nota in maniera distinta il profilo di una donna con le mani giunte in segno di preghiera;
- la scimmia;
- l’occhio;
- roccia con sfera.
Ce ne sono tantissimi altri, tutti da scoprire e da osservare, per cercare di trovare somiglianze che ancora oggi non sono state scoperte.
Trekking sull’Argimusco: dati tecnici
- Lunghezza: 2,5 km
- Durata: 2 ore circa
- Tipo percorso: misto (a tratti circolare, a tratti a bastone)
- Dislivello in salita: m. 50
- Punto più alto: m. 1.200
- Difficoltà: facile
La mia esperienza sull’Argimusco con la nebbia
Quando nel 2015 Montalbano Elicona fu eletto borgo più bello d’Italia, andai a visitarlo con un gruppo di amici e rimasi affascinata dalle sue atmosfere e dai suoi scorci. Purtroppo il tempo a disposizione non era tantissimo e per tale ragione non riuscimmo a visitare i megaliti dell’Argimusco che si trovano proprio lì vicino. Due giorni fa sono tornata, carica e determinata, con l’intento di dedicare a loro un’intera giornata. Siamo ad inizio settembre, al termine di una settimana molto piovosa che tuttavia sembra oramai avere lasciato spazio al bel tempo, e le condizioni sembrano abbastanza favorevoli. Con me la mia amica Laura, le mie inseparabili scarpe da trekking, il mio inseparabile zaino ed ovviamente la mia altrettanto inseparabile macchina fotografica.
Lungo la strada che dalla costa ci ha portate fino a 1.200 metri abbiamo incontrato un po’ di nebbia, elemento atmosferico che in passato temevo tanto ma che da qualche tempo ho imparato ad apprezzare. Questa nebbia, che inizialmente sembrava giocare a nascondino, ad un certo punto è diventata una costante. Incuranti di questo aspetto ed armate di buona volontà, abbiamo intrapreso il sentiero.
Devo ammettere che la nebbia, pur compromettendo di parecchio la visibilità, ha reso il luogo ancora più affascinante e misterioso. Mi ha colpita molto il verde rigoglioso delle numerosissime piante di felci che si trovano dappertutto, e le sagome dei megaliti che apparivano e sparivano nella foschia. Le mie aspettative erano parecchio diverse dallo scenario che mi sono trovata di fronte, eppure questa visione completamente inaspettata mi ha fatta sentire quasi una privilegiata, una delle poche persone che possono fregiarsi dell’onore di avere assistito a questo spettacolare momento della natura. Ragion per cui ho posato la fotocamera (che in queste circostanze diventa quasi inutilizzabile) nello zaino e mi sono concentrata di più sul vivere l’esperienza, piuttosto che immortalarla.
Non è mancato il momento di panico quando la nebbia è diventata parecchio fitta e, tra punti di riferimento oramai invisibili, mucche minacciose che ci guardavano come calpestatori del loro cibo, ed un numeroso gregge di pecore che sembrava più impaurito di noi, non siamo più riuscite a trovare il sentiero principale. Per fortuna Laura conosce il luogo meglio di me e con un sentiero alternativo siamo tornate sulla retta via! Un’avventura da ricordare!
Mi sa che dovrò tornare.
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